TAR. Inammissibile il ricorso contro la D.I.A. E’ da impugnare il silenzio

(sf) Una società, nella qualità di proprietaria di una villa ha riscontrato l’esecuzione di lavori edili sul suolo di proprietà di altri soggetti, situato in prossimità del confine con il demanio marittimo, verosimilmente finalizzati a realizzare un muro di recinzione. Conseguentemente, ritenendo illegittimi i lavori in corso di esecuzione,  ha presentato un esposto alle Autorità competenti. Riscontrando, a seguito di ciò un’inerzia che ha consentito la formazione del silenzio assenso sulla D.I.A. a suo tempo presentata dai titolari del fondo confinante, ricorre al TAR per chiedere “l’annullamento della dichiarazione di inizio attività presentata al Comune”.

Il tribunale, come era prevedibile, ritiene il ricorso inammissibile, in quanto la D.I.A. è  un atto del privato, privo di valore provvedimentale ed in quanto tale non direttamente impugnabile dai terzi.

Afferma il TAR nella sentenza, che in caso di D.I.A., la tutela dei terzi che si assumano lesi si realizza attraverso la sollecitazione del potere sanzionatorio o di autotutela da parte della P.A. e, in caso di inerzia da parte di quest’ultima, attraverso l’impugnazione del silenzio rifiuto serbato o l’accertamento dell’illegittimità del comportamento omissivo tenuto dall’Amministrazione stessa, che non si sia attivata per inibire i lavori.

Peraltro, richiamando un caso perfettamente analogo a quello oggetto ricorso, ribadisce che “l’art. 19, co. 6 ter, della legge 7 agosto 1990, n. 241, aggiunto dall’art. 6, co. 1, lett. c), del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, stabilisce che “la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’ art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104”. Secondo l’orientamento della Sezione (28 aprile 2017, n. 1967; 9 maggio 2017, n. 2120; 5 luglio 2017, n. 3281):

a) la giurisprudenza del Consiglio di Stato, anche in epoca anteriore alla ricordata modifica legislativa, ha ritenuto inammissibile una domanda di annullamento di una d.i.a., atto che ha natura oggettivamente e soggettivamente privata (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 19 settembre 2008, n. 4513; sez. IV, 12 marzo 2009, n. 1474; sez. IV, 13 maggio 2010, n. 2919);

b) tale giurisprudenza si è formata in epoca anteriore e coeva a quella dell’atto impugnato;

c) è evidente la naturale portata retroattiva della norma sancita dal citato art. 19, co. 6 ter;

d) pertanto essa si è sovrapposta al principio di diritto circa la conversione della domanda, enunziato dall’Adunanza Plenaria del 29 luglio 2011, n. 15 (che pure ha confermato la natura privatistica della d.i.a.), richiamata dalla parte appellata nella memoria del 28 luglio scorso;

e) non può valere in contrario la circostanza che, in primo grado, la ricorrente, oltra a impugnare direttamente la d.i.a., abbia chiesto l’accertamento dell’illegittimità del comportamento tenuto dal Comune, perché la domanda non rientra comunque nello schema dell’art. 19, co. 6 ter, dal quale, in presenza dell’inerzia del Comune a rispondere a una specifica diffida del confinante, deriva solo la possibilità di attivare la procedura ex art. 117 c.p.a. in vista della nomina di un commissario che prenda in esame la diffida e provveda su di essa” (cfr Consiglio di Stato, Sezione Quarta n° 04659/2017).

 

testo della decisione

 

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