(sf) Il Tar Toscana (sentenza in fondo alla pagina) con una sentenza interessante per i toni, oltre che per i contenuti, afferma che ai sensi dell’articolo 24 della legge 241/1990, l’accesso va in ogni caso garantito qualora sia strumentale e funzionale a qualunque forma di tutela, sia giudiziale che stragiudiziale, anche prima e indipendentemente dall’effettivo esercizio di un’azione giudiziale. Pertanto, l’interesse all’accesso va valutato in astratto, senza che possa essere operato, con riferimento al caso specifico, alcun apprezzamento in ordine alla fondatezza, plausibilità o ammissibilità della domanda giudiziale che gli interessati potrebbero eventualmente proporre sulla base dei documenti acquisiti mediante l’accesso e quindi la legittimazione alla pretesa sostanziale sottostante.
In linea di principio, dunque, l’amministrazione detentrice dei documenti amministrativi, purché direttamente riferibili alla tutela – anche di carattere conoscitivo, preventivo e valutativo da parte del richiedente, di un interesse personale e concreto, non può limitare il diritto di accesso se non per motivate esigenze di riservatezza.
Si tratta di acquisizioni consolidate ed ormai note (o almeno dovrebbero esserlo secondo criteri di perizia ed intelligenza) dopo quasi un ventennio di esperienze e affermazioni giurisprudenziali, che qui è inutile ripetere e dalle quali emerge un principio di fondo che dovrebbe guidare tutti i funzionari e dirigenti pubblici, la cui oservanza eviterebbe una mole cosèpicua di inutile contenzioso, come quello presente. Tale principio può sintetizzarsi in ciò: l’accesso è la regola ed il rifiuto è l’eccezione, da dimostrare sempre e comunque con chiara, esauriente e convincente motivazione. Corollario di tale regole è che il silenzio serbato su istanze d’accesso è ipotesi ancor più eccezionale, da circoscrivere in ambiti limitatissimi di domande palesemente pretestuose, incerte, vaghe, emulative.
Si tratta di regole semplici e fondamentali, ispirate, secondo l’ormai noto insegnamento dei giudici amministrativi, a valori fondanti di qualsiasi vera democrazia in cui la burocrazia è al servizio del cittadino e non di se stessa, secondo una logica perversa di autoreferenzialità in base alla quale il cittadine è suddito e non referente dell’azione amministrativa.
Nella specie la citata regola è stata inspiegabilmente e slealmente violata dall’amministrazione scolastica con un silenzio tanto più inspiegabile a fronte dell’oggetto della richiesta, riguardante esclusivamente gli elaborati del solo richiedente e non quelli di altri: vicenda per la quale le stesse norme interne dell’amministrazione prevedevano l’immediata accessibilità.
La violazione del principio di correttezza e lealtà, nonché la sussistenza degli elementi, costitutivi della colpa, di negligenza, imprudenza e imperizia non è certo affievolita dall’accoglimento tardivo della richiesta in corso di causa, il quale anzi evidenzia ancor di più l’intollerabile superficialità dell’azione amministrativa e del suo autore, il quale ha costretto senza ragione alcuna un cittadino a sopportare i costi di un processo per potersi vedere riconosciute le proprie ragioni, che un qualsiasi funzionario appena dotato di intelligenza ed umanità avrebbe subito compreso e soddisfatto.
E’ per quanto detto che la richiesta di domanda alla condanna alle spese formulata dalla difesa del ricorrente va accolta nella misura coerente anche con il grado della colpa della parte soccombente virtualmente e per le stesse esposte ragioni il Collegio invia copia della presente sentenza alla Procura Regionale Toscana della Corte dei Conti in conseguenza del ben prevedibile (art. 26 c.p.a.) ed agevolmente evitabile danno erariale per condanna alle spese che il comportamento dell’amministrazione scolastica ha recato alla finanza pubblica.
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