Con la sentenza n. 6026/2018, il Consiglio di Stato, ancora una volta, riforna sul tema riguardante la funzione assolta dalle “linee guida” dell’Autorità nazionale anticorruzione. Certamente tale strumento di “soft law” era stato concepito come sistema di semplificazione che consentisse la immediatezza della regolazione e la produzione di indicazioni chiare e di facile attuazione, che la legge ordinaria non può assicurare. Purtroppo, talvolta, a causa della funzione “interpretativa” che le Linee guida hanno assunto o persino limitativa rispetto delle disposizioni normative (quando non contrastanti), hanno generato complessità procedurale, oltre a notevole contenzioso (tradendo proprio la funzione primaria dello snellimento e della chiarezza). Basti pensare che ricercando sul sito della Giustizia amministrativa, si rileva che vi sono ben 939 cause trattate nelle quali ricorrono le parole “linee guida ANAC”.
Nel caso in esame il Consiglio di Stato, tratta un ricorso con il quale, tra l’altro, viene contestato che la procedura di affidamento, benché conforme alle legge, non sia rispettosa delle linee guida di ANAC (a conferma di quanto sopra). Al riguardo i giudici rispondono che “Non può essere accolto il motivo relativo alla discrasia fra la legge di gara e le prescrizioni di cui alle linee guida dell’ANAC n. 2 del 21 settembre 2016 (in tema di ‘Offerta economicamente più vantaggiosa’). Al riguardo ci si limita ad osservare che, trattandosi pacificamente di linee guida ‘non vincolanti’ (le quali traggono la propria fonte di legittimazione nella generale previsione di cui al comma 2 dell’articolo 213 del nuovo ‘Codice dei contratti’), esse non risultano idonee a rappresentare parametro di legittimità delle determinazioni adottate dalle singole stazioni appaltanti nella fissazione delle regole di gara. Il testo in questione, quindi, lungi dal fissare regole di carattere prescrittivo, si atteggia soltanto quale strumento di “regolazione flessibile”, in quanto tale volto all’incremento “dell’efficienza, della qualità dell’attività delle stazioni appaltanti”. Il testo in parola risulta ricognitivo di princìpi di carattere generale, ivi compreso quello della lata discrezionalità che caratterizza le scelte dell’amministrazione in punto di individuazione degli elementi di valutazione delle offerte. Sulla base di orientamenti più che consolidati, tuttavia, deve affermarsi che tali scelte non possano essere censurate in giudizio se non in caso di palesi profili di irragionevolezza e abnormità (nel caso di specie non ravvisabili).
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